Recensione del libro Janàsa
JANÀSA
(incontro con Claudia Zedda)
Claudia Zedda è una scrittrice sarda, laureata in Lettere Moderne che è riuscita a trasformare la sua passione per la scrittura in un lavoro, pubblicando due saggi, due romanzi e una raccolta di racconti per ragazzi.
Tra i suoi interessi troviamo l’antropologia, custode di identità, tradizione e miti.
Per Claudia l’identità è la concezione che ognuno ha di se stesso e della propria comunità.
Secondo opinioni diffuse la Sardegna è sempre stata una terra di “dominati” mentre in realtà sono stati i Sardi a dominare il Mediterraneo, a conoscere il mare e a costruire navi. L’autrice sostiene che un’identità forte nasca dalla lingua, dalla storia e dai miti e che rafforzi l’autostima.
Un altro interesse della nostra scrittrice sono le erbe, la gastronomia e il genere fantasy. E’ proprio quest’ultimo che l’ha portata ad informarsi sulle figure straordinarie protagoniste della mitologia sarda, da cui è scaturita l’idea per il suo ultimo romanzo ”Janàsa”, un ”fantasy alla sarda”.
Il libro ha richiesto un anno di lavoro, dopo 9 anni di ricerca sulla mitologia sarda in loco.
La storia si apre a Cagliari durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale in cui i sentimenti dominanti sono il terrore, la disperazione e la fame.
Annita e Piera sono i primi personaggi che appaiono nel romanzo, rispettivamente nonna e nipote in cerca di erbe per delle pozioni. Durante la notte di San Giovanni, il 23 giugno, le due donne si incontrano sulla Sella del Diavolo per raccogliere le erbe e Annita inizia a narrare una storia. Racconta a Piera di una donna vestita di rosso, con dei simboli sulla fronte, vissuta intorno al 1700 a.C., in epoca nuragica. Il suo nome è Janàsa. Scappando trova rifugio nei dintorni di Muravera, nel villaggio delle pietre che danzano. Lì fonda una sorellanza di 7 sacerdotesse, dedite al culto della Dea Madre, che si contrapponeva al culto di un dio guerriero.
L’autrice prende spunto dai miti sardi per i suoi personaggi: proprio come le janas, che erano portatrici di sapere e di cultura, così ogni sacerdotessa della sorellanza è specializzata in qualcosa. Sono capaci di tessere, cantare, ballare, curare, prevedere il futuro, parlare con le pietre. Claudia le descrive come donne vestite di rosso e dipinte di bianco, prendendo spunto dalle credenze popolari: il rosso era il colore della vita, mentre il bianco, proprio come le ossa, era il colore della morte.
Ogni sacerdotessa deve rispettare regole ferree: custodire i segreti e non avere figli. Quando le regole vengono violate, l’equilibrio si rompe e la vicenda si evolve. Ma la rottura degli equilibri è vista come un momento di crescita: le donne si dividono e portano le loro competenze in tutta la Sardegna. In questo modo l’autrice spiega il mito delle Janas e il perchè siano conosciute in tutta l’isola.
Laura Ledda II B classico